giovedì 9 gennaio 2014

La fede non è un vaccino!


Autore: Oliosi, Don Gino Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
mercoledì 8 gennaio 2014

I Magi, saggi compagni della strada perenne per ogni uomo nella ricerca della verità, ci indicano lo sguardo della ragione e delle Scritture per seguire i grandi desideri del nostro cuore, oscurato dall’inganno, dalla sirena, dalla mondanità del Serpente antico, facendoci accontentare di una vita mediocre e ci spingono a lasciarci sempre affascinare da ciò che è buono, vero, bello… da Dio che possiede un volto umano, che ci ha amati sino alla fine, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme e su questo cammino scorgere le utili luci sorte lungo la strada della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiutare a trovare la via, la speranza verso il futuro. Insistere sui comportamenti morali perenni in chi vive entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso, è somministrare, soprattutto ai ragazzi e ai giovani, un vaccino contro la fede e non la fede fondamento di tutto
“Lumen requirunt lumine”. Questa suggestiva espressione di un inno liturgico dell’Epifania si riferisce all’esperienza dei Magi: seguendo una luce essi cercano la Luce. La stella apparsa in cielo accende nella loro mente e nel loro cuore una luce che li muove alla ricerca della grande Luce di Cristo. I Magi seguono fedelmente quella luce che li pervade interiormente, e incontrano il Signore.
In questo percorso dei Magi d’Oriente è simboleggiato il destino di ogni uomo: la nostra vita è un camminare, illuminati dalle luci che rischiarano la strada, per trovare la pienezza della verità e dell’amore, che noi cristiani riconosciamo in Gesù, Luce del mondo. E ogni uomo, come i Magi, ha a disposizione due grandi “libri” da cui trarre i segni per orientarsi nel pellegrinaggio: il libro della creazione e il libro delle Sacre Scritture. L’importante è essere attenti, vigilare, ascoltare Dio che ci parla, sempre ci parla. Come dice il Salmo, riferendosi alla Legge del Signore: “Lampada per i miei passi la tua parola, / luce sul mio cammino” (Sal/ 119, 105). Specialmente ascoltare il Vangelo, leggerlo, meditarlo e farlo nostro nutrimento spirituale ci consente di incontrare Gesù vivo, di fare esperienza di Lui e del suo amore.
La prima lettura fa risuonare, per bocca del profeta Isaia, l’appello di Dio a Gerusalemme: “Alzati, rivesti di luce” (60,1). Gerusalemme è chiamata ad essere la città della luce, che riflette sul mondo la luce di Dio e aiuta gli uomini a camminare nelle sue vie. Questa è la vocazione e la missione del Popolo di Dio nel mondo. Ma Gerusalemme può venire meno a questa chiamata del Signore. Ci dice il Vangelo che i Magi, quando giunsero a Gerusalemme, persero per un po’ la vista della stella. Non la vedevano più. In particolare, la sua luce è assente nel palazzo del re Erode: quella dimora è tenebrosa, vi regnano il buio, la diffidenza, la paura, l’invidia. Erode, infatti, si mostra sospettoso e preoccupato per la nascita di un fragile Bambino che egli sente come un rivale. In realtà Gesù non è venuto ad abbattere lui, misero fantoccio, ma il Principe di questo mondo! Tuttavia il re e i suoi consiglieri sentono scricchiolare le impalcature del loro potere, temano che vengano capovolte le regole del gioco, smascherate le apparenze. Tutto un mondo edificato sul dominio, sul successo, sull’avere, sulla corruzione è messo in crisi da un Bambino! Ed Erode arriva fino ad uccidere i bambini. “Tu uccidi i bambini nella carne perché la paura ti uccide nel cuore” – scrive san Quodvultdeus (Disc. 2 sul Simbolo: PL 40, 655). E’ così: aveva paura, e per questa paura è impazzito.
I Magi seppero superare quel pericoloso momento di oscurità presso Erode, perché credettero alle Scritture, alla parola dei profeti che indicava in Betlemme il luogo della nascita del Messia. Così sfuggirono al torpore della notte del mondo, ripresero la strada verso Betlemme e là videro nuovamente la stella, e il vangelo dice che provarono “una gioia grandissima” (Mt 2,10). Quella stella che non si vedeva nel buio della mondanità di quel palazzo.
Un aspetto della luce che ci guida nel cammino della fede è anche la santa “furbizia”. E’ anche una virtù questa, la santa “furbizia”. Si tratta di quella scaltrezza spirituale che ci consente di riconoscere i pericoli ed evitarli. I Magi seppero usare questa luce di “furbizia” quando, sulla via del ritorno, decisero di non passare dal palazzo tenebroso di Erode, ma di percorrere un’altra strada. Questi saggi venuti da Oriente ci insegnano come non cadere nelle insidie delle tenebre e come difenderci dall’oscurità che cerca di avvolgere la nostra vita. Loro, con questa santa “furbizia” hanno custodito la fede. E anche noi dobbiamo custodire la fede. Custodirla da quel buio. Ma, anche tante volte, un buio travestito di luce! Perché il demonio, dice san Paolo, si veste da angelo di luce, alcune volte. E qui è necessaria la santa “furbizia”, per custodire la fede, custodirla dai canti delle Sirene, che ti dicono: “Guarda, oggi dobbiamo fare questo, quello…” Ma la fede è una grazia, è un dono. A noi tocca custodirla con questa santa “furbizia”, con la preghiera, con l’amore, con la carità. Occorre accogliere nel nostro cuore la luce di Dio e, nello stesso tempo, coltivare quella furbizia spirituale che sa coniugare semplicità ed astuzia, come chiede Gesù ai discepoli: “Siate prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16).
Nella festa dell’Epifania, in cui ricordiamo la manifestazione di Gesù all’umanità nel volto di un Bambino, sentiamo accanto a noi i Magi, come saggi compagni di strada. Il loro esempio ci aiuta ad alzare lo sguardo verso la stella e a seguire i grandi desideri del nostro cuore. Ci insegnano a non accontentarci di una vita mediocre, del “piccolo cabotaggio”, ma a lasciarci sempre affascinare da ciò che è buono, vero, bello…da Dio, che tutto questo lo è in modo sempre più grande! E ci insegnano a non lasciarci ingannare dalle apparenze, da ciò che per il mondo è grande, apparente, potente. Non bisogna fermarsi lì. E’ necessario custodire la fede. In questo tempo è tanto importante questo: custodire la fede. Bisogna andare oltre, oltre il buio, oltre il,fascino delle Sirene, oltre la mondanità, oltre tante modernità che oggi ci sono, andare verso Betlemme, là dove, nella semplicità di una casa di periferia, tra una mamma e un papà pieni di amore e di fede, risplende il Sole sorto dall’alto, il re dell’universo. Sull’esempio dei Magi, con le nostre piccole luci, cerchiamo la Luce e custodiamo la fede. Così Sia” [Papa Francesco, Omelia dell’Epifania, 6 gennaio 2014].

Nella nuova ondata di illuminismo e di laicismo, in quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita in cui l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso come evangelizzare, come non essere attenti a non somministrare a ragazzi e giovani che vivono situazioni di disagio in famiglia un vaccino contro la fede? La sfida è grande perché questo tipo di cultura, oggi egemone, rappresenta un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità. E’ una cultura contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza. Senza legittimare nulla contro i contenuti di fede e di morale, lasciando spazio a chi li richiama continuamente, chi, come successore di Pietro deve confermare e promuovere la fede, pastoralmente deve puntare all’essenziale cioè mantenere desta la sensibilità dei Magi cioè un cammino di ricerca della verità; invitare sempre tutti di nuovo a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino aiutare a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.
Papa Francesco, richiamando l’essenziale, si rifà spesso, con testimonianze di amore, alla Lettera agli Efesini, 1, 4-5. In Cristo il Padre che non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte, con la sua grazia ci rialziamo; che ci ama non perché siamo buoni ma per farci diventare suoi amici “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo”. Siamo condotti da queste divine parole all’origine del nostro esserci, al da dove veniamo: alla sua radice eterna. “Ci ha scelti”: ogni uomo comunque ridotto, ognuno di noi è stato pensato e voluto fra tante possibili persone umane. Lo sguardo del Padre si è posato su di te, a preferenza di tanti altri: sei stato scelto nel tuo e altrui essere dono del Donatore divino cioè sei persona, libera e non puoi essere trattato come ogni altro animale. Quando è accaduto questo? “…prima della creazione del mondo”: il mondo, questo universo immenso entro cui ti senti come un granello di polvere, non esisteva ancora e il Padre ti ha pensato e voluto liberamente, cioè amato, ha scelto te. Se dunque esisti, non è per caso, senza una ragione. Ma ci ha scelti, pensati e voluti in Cristo. Cioè: quando il Padre ha pensato e voluto il Cristo, il Figlio di Dio che possiede un volto umano rivelando contemporaneamente chi è Dio e chi è ogni uomo, ha pensato e voluto anche ciascuno di noi. Con lo stesso atto di pensiero e colla stessa decisione di volontà con cui ha pensato e voluto l’Incarnazione, ha pensato e voluto ciascuno di noi predestinandoci ad essere suoi figli adottivi e quindi fratelli Ecco perché ogni persona umana, spesso infedele al proprio e altrui essere dono del Donatore divino, realizza, ricrea se stessa solamente in Cristo e in relazione fraterna con ogni persona uguale in dignità. Se siamo stati pensati e voluti nel Verbo incarnato, risorto, questi è la nostra intelligibilità, la nostra verità, il significato, la speranza affidabile del nostro esserci, il tutto in rapporto al quale valutare e scegliere ogni azione o moralità fondata su ragione e fede.

Un “ismo” papale


· Come parla Jorge Mario Bergoglio ·

08 gennaio 2014
Altro che abolirlo: Francesco ha smascherato un nuovo peccato

L'ex alunno di Jorge Mario Bergoglio, Jorge Milia, si sofferma su un altro dei neologismi usati da Papa Francesco, parole prese in prestito o derivate dal lunfardo lo slang di Buenos Aires e declinate ad arricchire in maniera incisiva il linguaggio della sua predicazione.



Questa volta Milia non si sofferma su un discorso, ma su un documento, l'Evangelii gaudium dove ritrova l'uso del termine habriaqueísmo, letteralmente “doverfarismo”. Quante volte ci intratteniamo vanitosi parlando a proposito di “quello che si dovrebbe fare” come maestri spirituali ed esperti di pastorale che danno istruzioni rimanendo all’esterno. Coltiviamo la nostra immaginazione senza limiti e perdiamo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele. Ci sono “vite consumate nel servizio” e ci sono vite che si consumano teorizzando quello che bisognerebbe fare. L’”ismo” del dover fare. Per questi ultimi Papa Francesco ha inaugurato un nuovo peccato (altro che abolirlo, il peccato!): il “doverfarismo”.

di Jorge Milia

mercoledì 8 gennaio 2014

Terra Santa: I ricordi di un testimone carmelitano

Paolo VI in Terra Santa. I ricordi di un testimone carmelitano - 2
di P. Aldino CAZZAGO ocd

Come è facilmente comprensibile, Paolo VI fece il suo pellegrinaggio in Terra Santa dal 4 al 6 gennaio 1964, accompagnato da alcuni cardinali e vescovi, da personale della Curia Vaticana, dal suo Segretario particolare Mons. Pasquale Macchi e da altri, invitati da lui stesso o dalle Autorità vaticane. Fra questi ultimi vi era anche il Padre Generale dei Carmelitani Scalzi che in quel tempo era P. Anastasio Ballestrero (1913-1998), poi vescovo di Bari e di Torino e dal 1979 al 1985 Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. A distanza di mezzo secolo, i ricordi lasciati da queste persone sono assai importanti per una più esaustiva ricostruzione del viaggio del pontefice. Spesso ciò che essi videro e sperimentarono sfuggì, ma non poteva essere altrimenti, allo stesso Paolo VI.

Quali sono le ragioni che giustificano la presenza di P. Anastasio in Terra Santa al fianco di Paolo VI? In fase di preparazione del viaggio, le Autorità vaticane avevano pensato di includere tra i luoghi da visitare anche il Monte Carmelo, il luogo dove secondo la tradizione biblica visse e operò il profeta Elia e dove sul finire del XII secolo iniziarono la loro esperienza monastica ed eremitica i primi Carmelitani. Per motivi di sicurezza, dovendo il pontefice entrare nella città di Haifa, il progetto iniziale venne accantonato. Nonostante questo, pochi giorni prima di quel 4 gennaio a P. Anastasio venne chiesto di seguire ugualmente il papa nel viaggio ormai imminente. Come risulta dalla cronaca della Casa Generalizia dell’Ordine (cfr. Acta Ordinis Carmelitarum Discalceatorum, fascicolo, 1-6 [1965] 56-57) il 2 gennaio, P. Anastasio, appena giunto a Gerusalemme si reca al monastero delle Carmelitane Scalze situato sul Monte degli Ulivi. Il giorno seguente visita il monastero di Betlemme e poi fa ritorno a Gerusalemme. Nel pomeriggio del 4 gennaio si avvia verso la Porta di Damasco per attendere l’arrivo del papa perché è da qui che, percorrendo il tragitto della Via Crucis, il corteo papale giungerà alla Chiesa del Santo Sepolcro. Come mostrano i filmati, Paolo VI salì lungo quel dedalo di stradine stretto da una indescrivibile calca di fedeli e correndo più volte anche il rischio di essere travolto. Ecco allora le vive parole di P. Anastasio:

«La Via Crucis l’ha cominciata chi ha potuto: per esempio i cardinali e gran parte del seguito del papa sono stati travolti dalla folla e non l’hanno più trovato, e sono finiti all’albergo … non tutti ma parecchi. Dei cardinali, nessuno dei tre è arrivato; dei patriarchi, alla basilica del S. Sepolcro c’era solo quello latino, che era andato prima, per un’altra strada, per riceverlo. Degli altri, l’unico arrivato è stato il patriarca maronita […]. Ci siamo incamminati piano, piano, piano ….. C’era la Legione Araba che doveva garantire l’ordine, ma ci voleva altro! Poveretti, appena vedevano il papa gli andavano incontro. Col loro istinto di salutare l’ospite toccandolo, tutti volevano toccare il papa, e questo povero uomo era proprio sommerso. Per fortuna c’era un gruppetto di ufficiali dei Carabinieri italiani che la Segreteria di Stato aveva chiesto come guardia del corpo - erano in borghese, naturalmente - i quali quando hanno visto la mala parata, hanno fatto un quadrato intorno al papa, lo hanno difeso per lo meno dal cadere per terra. […]. Quando ho visto che non c’era più ordine, perché il Corpo Diplomatico aveva fatto cento metri poi non si è più visto, mi sono affiancato al patriarca maronita e gli ho detto. “Eccellenza, qui bisogna far di forza, no?”. E a forza di gomitate - lui, si capisce, era patriarca … - siamo riusciti - a rimanere - diciamo - nel corteo del papa: lo precedevamo».

Terminato il tragitto della Via Crucis, il papa giunge finalmente al Santo Sepolcro.
Racconta P. Anastasio: «Insomma quando il Signore ha voluto è arrivato il Santo Padre. Era lì che sudava come un fiume, proprio: l’hanno dovuto asciugare con quattro o cinque fazzoletti perché grondava, era proprio congestionato. Abbiamo cantato il Te Deum e poi è cominciata la messa. Io ho avuto la fortuna di essere proprio a un metro dal papa per cui ho potuto vederla e assisterla bene: è stata una messa emozionante, l’ha detta in pianto. Nel canto del Te Deum era lui, sereno, anzi io mi dicevo: “Come si domina bene!”. Ma quando è cominciata la messa non ce l’ha più fatta … è stato preso dal singhiozzo, ecco. Ha detto la messa tra i singhiozzi, proprio piangendo, piangendo, specialmente al Vangelo. Durante il Vangelo, durante la consacrazione, ma proprio da vedere gli scossoni a tutta la persona … sì, sì: si vedere proprio che era preso, povero papa. […]. Dopo la messa ha fatto la predica, quella bellissima predica … quella specie di predica preghiera, molto bella. Poi è sceso dentro, proprio nel Sepolcro, ma molto rapidamente. Ha deposto sul sepolcro un ramo d’ulivo d’oro e poi, sempre in basilica, è andato al Calvario, proprio suo luogo della crocifissione, e quindi è andato alla Delegazione Apostolica. Credo sia stata la cerimonia che lo ha emozionato di più: al Sepolcro proprio non si è dominato. E infatti poi ho sentito dire da un cardinale che il papa stesso gli aveva detto: “Il viaggio è stato una cosa emozionante, ma certo che al Sepolcro per me è stata una cosa dell’altro mondo”».

Infine un accenno alla ventilata ipotesi della visita al Monte Carmelo:
«L’intenzione di andare al Carmelo c’era. Mi diceva il cardinale Cicognani, Segretario di Stato: “Il papa non fa che dirci questo: “Guardate, io sono figlio dell’obbedienza. Fate come potete, meglio che potete, però fatemi vedere tutto quello che potete perché è la prima volta che vado in Terra Santa e sarà anche l’ultima, e il desiderio di vedere tutto quello che posso, veramente ce l’ho, quindi …”».
Quando P. Anastasio raccontò la sua esperienza del viaggio in Terra Santa al seguito di Paolo VI? La cosa accadde il 25 febbraio 1964, a nemmeno due mesi dal viaggio, durante una conversazione con le Carmelitane Scalze di Firenze (cfr. A. Ballestrero, Autoritratto di una vita. P. Anastasio si racconta, Edizioni OCD, Roma 2002, pp. 196-199). A distanza di cinquant’anni, la ricchezza di quei ricordi non cessa di commuovere tutti, ma in modo particolare, chi, per averli visti, conosce quei Luoghi Santi.

Carta della laicità nella scuola


martedì 7 gennaio 2014

«La nostra patria per noi sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re... Ma la loro patria cos’è per loro? Voi lo capite?... Loro l’hanno nel cervello, noi la sentiamo sotto i nostri piedi...»
Sono convinti di essere «moderni» e di portare alla società e alla scuola una ventata di novità, e un più ampio respiro.
E invece sono i campioni del più bieco integralismo antireligioso, di matrice totalitaria e nazista. Basta sostituire alla «razza» la parola «laicità», ed allora si troveranno tutti gli strumenti per cancellare ogni diversità. Ma c’è un particolare: oggi il nazismo è stato vinto ed è considerato il «male assoluto» (ed è andata meglio per il comunismo, semplice «errore»), mentre la «laicità repubblicana» sembra godere di un credito e di un’aura di bene che la fanno diventare un modello cui ispirarsi. Così Micro(cervello)Mega(idiozie) ci propone, con notevole ritardo, la «Carta [francese] della laicità» che non si configura come «semplice ‘tolleranza’ delle diverse opinioni, ma un insieme di valori e princìpi molto solidi che vanno insegnati anche, e forse soprattutto, nelle scuole pubbliche».
Sono dei poveretti, che hanno una sola capacità: distruggere ciò che non capiscono, travestendo questo loro risentimento con maschere di libertà e rispetto. Soprattutto affermando in linea di principio dei valori che sono esplicitamente smentiti quando diventano possibilità di esperienza e di libertà.
Si perde tempo a considerali come interlocutori seri, là dove è evidente la mistificazione. Faccio solo un esempio. «4. La laicità garantisce la libertà di coscienza di tutti: ognuno è libero di credere o non credere. Essa permette la libera espressione delle proprie convinzioni, nel rispetto di quelle degli altri e nei limiti dell’ordine pubblico». Che cosa ne pensate? Immaginate che la scuola sia una palestra di libertà, di confronto, di rispetto, soprattutto di simpatia verso ogni tentativo giovanile di esprimere un ideale e di proporlo alla verifica di tutti. Del resto le università sono nate (anche nel medioevo francese) con questo intendimento e con questo metodo (qui nella nostra povera Italia si è stabilito che la cultura è libera e libero ne è l’insegnamento).
Facciamo un passo avanti e troviamo, per esempio: «15. Nessuno studente può appellarsi a una convinzione politica o religiosa per contestare a un insegnante il diritto di trattare una parte del programma…» oppure: «E’ vietato invocare la propria appartenenza religiosa per rifiutare di conformarsi alle regole applicabili nella scuola della repubblica. Negli istituti scolastici pubblici è vietato esibire simboli o divise tramite i quali gli studenti ostentino palesemente un’appartenenza religiosa…» e così quello che da una parte ti è concesso, dall’altra ti viene negato. Ricordate la passione del ’68? La fierezza con cui si contestava ogni imposizione di sapere per il sacrosanto diritto di cercare, di esprimersi, di dialogare? Ricordate la fierezza con cui si voleva mettere alla sbarra ogni posizione, chiedendo di non sottrarre nulla al tribunale della coscienza e della critica? Acqua passata, illusioni giovanilistiche, posizioni destabilizzanti. Ora il nuovo padrone (quel potere omologante di cui ci parlava con passione critica Pasolini) non può accettare contraddittorio, non può tollerare che le idee abbiano carne e ossa, vogliano diventare esperienza. Si realizza il progetto totalitario dei giacobini, a cui rispondeva uno dei capi della Vandea, Monsieur de Charette. Egli disse un giorno ai suoi seguaci: «La nostra patria per noi sono i nostri villaggi, i nostri altari, le nostre tombe, tutto ciò che i nostri padri hanno amato prima di noi. La nostra patria è la nostra fede, la nostra terra, il nostro re... Ma la loro patria cos’è per loro? Voi lo capite?... Loro l’hanno nel cervello, noi la sentiamo sotto i nostri piedi...». Per quanto sarà possibile, negli spazi che ancora restano (pochi) di libertà, non accetteremo lo scempio del nostro popolo e dei nostri giovani. Facciamo nostro il grido di Papa Francesco: «Il compito educativo oggi è una missione chiave, chiave, chiave!», e senza libertà non ci sarà mai educazione!

Da libro della Vita di S.Teresa di Gesù


Pertanto, la signoria vostra, signore, non cerchi altra strada, anche se si trova all’apice della contemplazione; per tale cammino non correrà rischi. Questo nostro Signore è la fonte di ogni nostro bene. Egli c’indicherà la strada; guardando alla sua vita, vi troveremo un modello senza uguali. Che vogliamo di più di un così fedele amico al nostro fianco, che non ci abbandonerà nelle sventure e nelle tribolazioni, come fanno quelli del mondo? Fortunato colui che lo amerà sinceramente e lo avrà sempre vicino a sé! Guardiamo al glorioso san Paolo che sembrava avesse continuamente sulla bocca il nome di Gesù, come colui che lo teneva bene impresso nel cuore. Io, dopo aver compreso questa verità, ho considerato attentamente la vita di alcuni santi, grandi spiriti contemplativi, e ho visto che non seguivano altra strada: san Francesco lo fa vedere con le stigmate, sant’Antonio di Padova con il bambino Gesù, san Bernardo con il godere dell’umanità di Cristo, e ancora lo provano santa Caterina da Siena e molti altri che vostra signoria conoscerà meglio di me.

Come cresce una società

FamilyLivingPicture

di Ettore Gotti Tedeschi
Sono quasi vent’anni che tratto, in ottica economica, temi a difesa della vita, della famiglia, e propongo il crollo della natalità quale origine vera della attuale crisi economica. Sarà forse per questo che una parte del mondo cattolico non mi ama. Sono quasi vent’anni che cerco di spiegare qualitativamente e quantitativamente che senza aumento delle nascite il Pil – di fatto e senza retorica accademica – nel mondo cresce solo se si fanno crescere i consumi individuali.
Per creare una cultura di consumismo si devono installare nella cervice umana concetti di soddisfazione materialistica al posto di quelli di soddisfazione intellettuale e spirituale. In pratica per sentirsi soddisfatti, materialmente, ci si deve sentire “animali intelligenti”.
Se ciò non fosse non ci si contenterebbe dei beni materiali (in senso lato). Ma la crescita consumistica, quale compensazione di crescita zero della popolazione, non crescendo realmente e in modo sostenibile il Pil, pretende potere di acquisto in crescita. Se quello reale non c’è, si comincia a “mangiar” risparmio per arrivare progressivamente alla magia dell’indebitamento progressivo. In un sistema poi di welfare maturo la non crescita reale del Pil produce la crescita reale dei costi fissi (sanità, pensioni, ecc.) che viene coperto da sempre maggiori imposte, che riducono il potere di acquisto e gli investimenti. Per sostenere detto potere di acquisto necessario ai consumi si delocalizzano le produzioni in Paesi a basso costo. Ma questo, senza strategie alternative, crea vulnerabilià di produzione e occupazione… In pratica crea la situazione cui siamo arrivati. Ma di ciò non possiamo parlare in vera libertà perché il problema, quando dalla diagnosi si passa alla prognosi, viene allora ricondotto ad essere un tema morale. E la morale come orientamento di discussione “scientifico” è rifiutata. I figli non si possono più fare.
Vorrei prendere questa occasione per invitare il lettore a leggere l’Enciclica di papa Francesco (Lumen fidei) che curiosamente non ha destato l’attenzione dovuta. Forse perché spiega le responsabilità della Chiesa quando si limita ad esser consolatoria e non maestra.
In Lumen fidei Francesco spiega che l’uomo ha bisogno di verità di riferimento per dar senso alla vita, alle azioni e valorizzare la società, la famiglia. Gli equilibri socio-economici dipendono da questi valori attuati. Il valore essenziale, antropologico e logico, della vita umana viene trattato da Paolo VI in Humanae vitae, che a momenti non provoca uno scisma grazie alle reazioni teologiche dei H. Kung o K. Rahner, più vicine alle richieste del mondo globale che alla dottrina cattolica. Così i neomaltusiani ebbero spazio e buon gioco nell’imporre il pensiero antinatalità che ci ha portato quasi alla distruzione di un sistema di civiltà.
Qualche mese fa si lesse sui giornali che il reddito delle famiglie italiane era tornato indietro di 27 anni. No, in realtà era cresciuto illusoriamente in 27 anni, sostituendo la crescita consumistica a una crescita equilibrata della popolazione, nella illusione folle che non facendo figli si sarebbe diventati più ricchi. Ma la natura ha dimostrato il contrario, o persino peggio: senza fare figli non si può neppure più mantenere i vecchi… quelli che hanno decretato la bontà del maltusianesimo. Mancando idee in un tempo di emergenza culturale, idee false appaiono vere.
Test per il lettore: nasce prima l’uovo o la gallina?
Voglio dire: si deve esser ricchi per far famiglia e figli o si diventa ricchi facendo famiglia e figli? Oggi ci si lamenta che una coppia a parità di status professionale, età ecc. guadagni mediamente meno del solo capofamiglia trent’anni fa. Ciò perché in trent’anni, per sostenere i costi fissi del Welfare, non più assorbibili dalla crescita reale dell’economia, si son dovute crescere le imposte sul Pil del 100%, si sono cioè raddoppiate e conseguentemente ridotto il potere di acquisto.
Boicottando conseguentemente la famiglia si è concorso a svantaggiare l’intera società che si è convertita in un sistema senza fini, senza identità, dove gli individui realizzano le proprie aspirazioni e vocazioni naturali in modo quasi “selvaggio”, deresponsabilizzato, spesso inconsapevole, senza ideali e aspirazioni di progetti di formare famiglie, fare ed educare i figli.
Così si sta perdendo (o si è già perso?) anche il valore economico della famiglia legato allo stimolo, impegno e perseguimento di fini responsabili, che presuppongono, dal punto di vista economico, impegno particolare nel produrre, nel risparmiare, nell’investire, nel consumare. Ma questo tipo di famiglia produce anche sani stimoli competitivi nell’educazione e formazione individuale dei figli, a vantaggio della società. Detta famiglia che di fatto prende in outsourcing dallo Stato formazione e sussidi ai giovani e cura anziani e malati, svolge un triplice ruolo socio-economico. Quello di investitore in capitale umano, quello di ridistributore di reddito al suo interno, secondo i veri bisogni, quello di risparmiatore a vantaggio
della società. Detta famiglia andrebbe quotata in Borsa tanto produce valore economico… (per intenderlo si studi Lumen fidei, capitolo IV).
Invece di sentire proposte a sostegno della famiglia, se ne sentono invece a favore della decrescita centrata sul congelamento delle nascite e mortificazione della famiglia stessa. Gli ecomaltusiani, non ancora pentiti, continuano a rifiutare di comprendere la natura e le sue leggi. Anche Caino era per la decrescita della popolazione, per ragioni di gelosia, ma aveva anche lui inventato la scusa ecologico-animalista: uccise Abele perché costui sacrificava troppi agnelli al Signore producendo inquinamento atmosferico…
fonte> Formiche.net

martedì 7 gennaio 2014

Il Papà: mettere alla prova il nostro cuore per ascoltare Gesù, non il falsi profeti




Il cristiano sa vigilare sul suo cuore per distinguere ciò che viene da Dio e ciò che viene dai falsi profeti. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa mattutina a Casa Santa Marta, la prima dopo le festività natalizie. Il Papa ha ribadito che la via di Gesù è quella del servizio e dell’umiltà. Una via che tutti i cristiani sono chiamati a seguire. Il servizio di Alessandro Gisotti:

“Rimanete nel Signore”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo da questa esortazione dell’Apostolo Giovanni, contenuta nella Prima lettura. Un “consiglio di vita”, ha osservato, che Giovanni ripete in modo “quasi ossessivo”. L’Apostolo indica “uno degli atteggiamenti del cristiano che vuole rimanere nel Signore: conoscere cosa succede nel proprio cuore”. Per questo avverte di non prestare fede a ogni spirito, ma di mettere “alla prova gli spiriti”. E’ necessario, ha evidenziato il Papa, saper “discernere gli spiriti”, discernere se una cosa ci fa “rimanere nel Signore o ci allontana da Lui”. “Il nostro cuore – ha soggiunto – sempre ha desideri, ha voglie, ha pensieri”. Ma, si è chiesto, “questi sono del Signore o alcuni di questi ci allontanano dal Signore?” Ecco allora che l’Apostolo Giovanni ci esorta a “mettere alla prova” ciò che pensiamo e desideriamo:

“Se questo va nella linea del Signore, così andrai bene, ma se non va… Mettete alla prova gli spiriti per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono venuti nel mondo. Profeti o profezie o proposte: ‘Io ho voglia di far questo!’. Ma questo non ti porta al Signore, ti allontana da Lui. Per questo è necessaria la vigilanza. Il cristiano è un uomo o una donna che sa vigilare il suo cuore. E tante volte il nostro cuore, con tante cose che vanno e vengono, sembra un mercato rionale: di tutto, tu trovi di tutto lì... E no! Dobbiamo saggiare – questo è del Signore e questo non è – per rimanere nel Signore”.

Qual è, dunque, il criterio per capire se una cosa viene da Cristo oppure dall’anticristo? San Giovanni, ha affermato il Papa, ha un’idea chiara, “semplice”: “Ogni spirito che riconosce Gesù Cristo, venuto nella carne, è di Dio. Ogni spirito che non riconosce Gesù non è di Dio: è lo spirito dell’anticristo”. Ma cosa significa, dunque, “riconoscere che il Verbo è venuto in carne?” Vuol dire, ha osservato il Pontefice, “riconoscere la strada di Gesù Cristo”, riconoscere che Lui, “essendo Dio, si è abbassato, si è umiliato” fino alla “morte di croce”:

“Quella è la strada di Gesù Cristo: l’abbassamento, l’umiltà, l’umiliazione pure. Se un pensiero, se un desiderio ti porta su quella strada di umiltà, di abbassamento, di servizio agli altri, è di Gesù. Ma se ti porta sulla strada della sufficienza, della vanità, dell’orgoglio, sulla strada di un pensiero astratto, non è di Gesù. Pensiamo alle tentazioni di Gesù nel deserto: tutte e tre le proposte che fa il demonio a Gesù sono proposte che volevano allontanarlo da questa strada, la strada del servizio, dell’umiltà, dell’umiliazione, della carità. Ma la carità fatta con la sua vita, no? Alle tre tentazioni Gesù dice di no: ‘No, questa non è la mia strada!’”.

Il Papa ha, quindi, invitato tutti a pensare proprio a cosa succede nel nostro cuore. A cosa pensiamo e sentiamo, a cosa vogliamo, a vagliare gli spiriti. “Io metto alla prova quello che penso, quello che voglio, quello che desidero – ha domandato – o prendo tutto?”:

“Tante volte, il nostro cuore è una strada, passano tutti lì… Mettere alla prova. E scelgo sempre le cose che vengono da Dio? So quale sono quelle che vengono da Dio? Conosco il vero criterio per discernere i miei pensieri, i miei desideri? Pensiamo questo e non dimentichiamo che il criterio è l’Incarnazione del Verbo. Il Verbo è venuto in carne: questo è Gesù Cristo! Gesù Cristo che si è fatto uomo, Dio fatto uomo, si è abbassato, si è umiliato per amore, per servire tutti noi. E l’Apostolo Giovanni ci conceda questa grazia di conoscere cosa succede nel nostro cuore e avere la saggezza di discernere quello che viene da Dio e quello che non viene da Dio