7 gennaio 2014
Enrico Letta, anche per gli obblighi di rappresentanza legati al suo incarico, parla molto, con mestiere e affabilità, ma non dice quasi nulla. Quando si avventura in qualche osservazione, come l’attribuzione al suo esecutivo del merito della discesa dello spread, si sente rispondere in modo piccato da Mario Monti, che gli ricorda che i quattro quinti di quella discesa si sono realizzati durante il suo governo, e poi viene gelato dal parere del segretario del suo partito, Matteo Renzi, che il merito lo attribuisce invece a Mario Draghi. Che queste docce gelate inducano il premier alla prudenza è comprensibile, ma andando avanti così rischia di cadere nell’irrilevanza. Il suo ottimistico preannuncio di intese di maggioranza su tutti i temi, per quanto controversi e ardui, si scontra con l’esperienza quotidiana di un governo che, dopo una mezza dozzina di provvedimenti annunciati, ritirati, approvati e poi emendati, non ha ancora fatto capire ai contribuenti qual è l’imposizione che grava sulla casa. Probabilmente ormai anche Letta si rende conto che la funzione del suo governo è quella di lasciare alle forze politiche il (poco) tempo necessario per trovare un accordo sulla legge elettorale, da sperimentare prima possibile.
La pretesa di Angelino Alfano, sostenuto dallo stesso Letta, che questa riforma rientri negli accordi di maggioranza per poi essere proposta alle opposizioni è stata ignorata da Renzi che punta addirittura a trovare un’intesa con Silvio Berlusconi prima che cominci il rito degli incontri per stendere quello che viene un po’ enfaticamente definito “patto di governo”. In realtà trovare un accordo sarà arduo anche tra i settori ministeriali, visto che oramai il clima è quello di una campagna elettorale in cui Letta e Alfano si troveranno a competere da sponde opposte e, per giunta, debbono trovare uno spazio non scontato negli schieramenti, si tratti di coalizioni o di liste di partito che si vanno determinando. Anche in una situazione così evidentemente crepuscolare, Letta potrebbe dare un senso alla sua attività se si occupasse di concludere qualcuna delle operazioni politiche che ha avviato, da quelle sul mercato del lavoro a quella sull’affollamento delle carceri. Ponendosi obiettivi raggiungibili apparirebbe un leader pragmatico, mentre continuando a vaneggiare di patti di legislatura si fa solo la fama di velleitario irrealista.
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